La fine dell'innocenza
- Venerdì, 26 Luglio 2013 11:25
- Raffaele Ciccarelli
- 1554
Il 14 luglio è una data storica, di quelle che si leggono sui libri e si imparano a memoria: in quel giorno del 1789, con tutto il suo carico di violenze ed orrori, ci fu la presa della Bastiglia in Francia, simbolo del potere del Re, episodio che diede inizio alla Rivoluzione francese, destinata a propagarsi come un’onda in tutta Europa, sul tipo delle attuali Primavere arabe.
Da quest’anno diventerà una data storica anche nello sport: potrebbe segnare il giorno in cui il doping ha definitivamente preso il sopravvento sullo sport pulito. I recentissimi casi di alterazioni negli atleti giamaicani hanno drammaticamente spostato l’ago della bilancia della credibilità di chi segue lo sport, in tutte le sue forme e discipline. Già erano guardate con più di un sospetto le vittorie dei corridori del ciclismo: come credere alle imprese di un Christopher Froome al recente Tour de France senza pensare che esse possano essere il frutto delle mistificazioni? Questo senza dimenticare la dolorosa parentesi di Marco Pantani, o l’imbroglio perpetrato negli anni da Lance Armstrong.
L’atletica leggera non è stata da meno nel consegnarci storici casi clamorosi, a cominciare da Ben Johnson alle Olimpiadi Seul del 1988 continuando con Marion Jones, fino al recente, e ancora amaro per noi, caso di Alex Schwazer nella marcia. Scoprire ora che anche il Dream Team giamaicano, con Asafa Powell in prima fila, ma anche con Sharone Simpson, Travis Smilke, Allison Randall e Demar Robinson ha ceduto alla sulfurea tentazione del doping ci pone di fronte al problema senza più difese.
Certo che il problema – doping è antico quanto lo sport stesso, ed era talmente diffuso già durante gli antichi Giochi Olimpici (l’ingestione di semi di sesamo e di grosse quantità di carni si riteneva migliorassero le prestazioni atletiche) che già all’epoca furono istituiti i controlli antidoping con pena l’esclusione dai Giochi e, in casi estremi, la morte. Emblematica una dichiarazione dell’epoca di Ippocrate, il padre della medicina: « Negli atleti lo stato di salute portato all’estremo è pericoloso, perché esso non può rimanere così, né restare a lungo stazionario, e poiché non può rimanere stazionario né migliorare, non resta che un cambiamento in peggio». Una antica analisi che non si presta ad ulteriori commenti, ma sgomenta per la sua attualità (da F. Agostini Il doping nel mondo antico – Il lato oscuro dello sport, www.instoria.it). Ritornando all’attualità, in verità, in parte abbiamo un po’ tutti applicato la “politica dello struzzo” quando le vittorie hanno riguardato il team della Giamaica: talmente eclatanti le imprese, e straripante la simpatia del suo protagonista, Usain Bolt, che non abbiamo mai “voluto” pensare all’ennesimo “tarocco”.
Innegabilmente un certo senso di fastidioso, vago, sospetto lo abbiamo sempre avuto, ma a quella vocina non abbiamo voluto dare ascolto. Ecco, in questo il 14 luglio di quest’anno ha cambiato probabilmente la nostra visione di sport: difficilmente riusciremo più a vedere, a godere, delle imprese di un qualche grande campione senza essere rosi dal tarlo che quella vittoria possa essere figlia di “aiuti” di varia natura, ma senz’altro illeciti. Il 14 luglio hanno definitivamente ucciso i nostri sogni.
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