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Carmine Saponetti, una storia dimenticata

SaponettiQuando 100 anni fa Vigne di Sessa Aurunca, minuscola frazione a pochi chilometri dal più noto comune aurunco, sul pendio di tufo che conduce al vulcano spento di Roccamonfina, dava i natali a Carmine Saponetti, il 12 giugno 1913, nessuno immaginava che quel ragazzo, di umili origini, avrebbe un giorno incrociato il suo destino e la sua storia ciclistica con quella di Fausto Coppi, il “mito”.

Avvenne nel 1941, quando, dopo aver vinto il Gran Premio d'Europa a Zurigo l'anno prima, a Milano il ragazzo di Vigne dovette cedere il titolo di campione italiano dell'inseguimento al più giovane avversario. E la delusione fu ancora più amara l'anno dopo, quando, nel novembre '42, dopo aver mancato il tentativo di battere il record dell'ora del francese Maurice Archambaud, dovette assistere al successo di Coppi (per soli 31 metri!) nell'analogo tentativo effettuato al Vigorelli: 45,798 metri del grande Fausto contro i 45,767 del francese. Per Saponetti fu l'inizio del declino. Ma Carmine la sua storia l'aveva già scritta.

 

Passato professionista nelle file de “La Voce di Mantova”, dopo aver militato, da dilettante, nell'A.S. Roma, sodalizio della città nella quale era precocemente emigrato in cerca di fortuna, nel 1939 si aggiudicò, unico campano nella storia, due tappe del Giro d'Italia, nelle frazioni Pisa-Grosseto e Rieti-Roma. La leggenda vuole (ma forse è storia) che, prima di quest'ultima tappa, la mamma consegnasse personalmente 100 lire al figlio Carmine per le spese da sostenere, ricevendone in cambio occhi lucidi e la promessa, subito mantenuta, di un'altra vittoria. Tornato in pista, nello stesso anno fu primatista mondiale dei 100 km, 50 km, 60 miglia e 30 miglia su pista a Milano, al velodromo Vigorelli; la qual cosa gli valse la Medaglia d'oro al Valore Atletico. Come detto, l'avvento del giovane Coppi, insieme con il minaccioso approssimarsi della seconda guerra mondiale, segnarono la fine precoce della sua carriera, nella quale gli allori furono sicuramente inferiori alle aspettative. Rimane, indelebile, il ricordo. Ricordo dei tempi pionieristici del ciclismo, di strade sterrate, di uomini soli al comando con i copertoni delle ruote a tracolla, di magliette di lana sudate e borracce d'acqua passate ad avversari disidratati. Tempi nei quali si ignorava il significato del termine eritropoietina e a doparsi erano sufficienti le 100 lire di una mamma premurosa, che non avevano il gusto effimero del denaro, ma l'impagabile sapore dell'amore.

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