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L'elogio dell'imponderabile

Il calcio è un’affascinante materia oscura: possiamo stare per ore, giorni o mesi a discutere di tecnica, di tattica, di movimenti di questo o quel giocatore, ma poi l’imponderabile, l’imprevedibile, trasforma tutto in un vago e vacuo gioco di parole.

Real Madrid e Liverpool si sono ritrovati di fronte a Kiev per contendersi, all’ultimo atto, la Coppa dei Campioni (tale resta, per noi nostalgici), gli spagnoli per l’ennesima volta, la terza consecutiva, la quarta negli ultimi cinque anni, sempre vincenti, gli inglesi al ritorno dopo un periodo di eclisse durato undici anni.

Ad un livello così alto ci si aspettano giocate sopraffine, evoluzioni tattiche da alta scuola, e poi ti ritrovi la partita decisa sì da prodezze, ma anche da incredibili errori, di quelli che una volta venivano definiti da oratorio. Il primo tempo del match scorre veloce, in equilibrio come il nulla di fatto finale, con una leggera prevalenza per i Reds britannici: i Blancos si presentano con lo stesso identico undici che superò la Juventus all’ultimo atto della medesima coppa l’anno scorso, l’anagrafe e una certa assuefazione al successo, contrapposte alla fame degli avversari, sembrano indirizzare la gara verso un rinnovo di governo, con questo primo atto che vive soprattutto sull’infortunio di Salah, che priva Jurgen Klopp della sua arma più micidiale e la partita di un sicuro protagonista.

Quasi un segno del destino, come la situazione che provoca la prima rete ad inizio ripresa, con il pallone innocuo tra le mani di Loris Karius, rinviato dallo stesso ma “rimbalzato” su Karim Benzema in porta: a memoria credo che questo possa essere ascritto quantomeno nell’album dei gol più bizzarri mai visti in una finale. È un colpo che avrebbe potuto annichilire il Liverpool, ne innesca invece la feroce reazione che porta al pareggio di Sadio Manè e quasi sembra lanciare questa squadra, già cinque volte nell’albo d’oro della competizione, verso un’insperata vittoria.

Non si è fatto il conto con la potenza dell’organico del Real, però: quanti possono, come Zinedine Zidane, tenere in panchina e far alzare, in corso d’opera, un giocatore delle qualità di Gareth Bale, che dopo appena quattro minuti dal suo ingresso firma un capolavoro in rovesciata in tutto degno, se non  migliore, di quello disegnato dal suo sodale Cristiano Ronaldo contro la Juventus? Un gesto così eccezionalmente bello ed efficace da non lasciarsi rubare la scena dall’altro protagonista, stavolta negativo, del match, quel Karius che completa la sua personale “frittata” poco dopo, su tiro quasi innocuo ancora di Bale, che viene spinto in porta per il tre a uno finale.

Come tutte le finali che si rispettano, restano le scene finali, di giubilo per i vincitori, di malinconia per gli sconfitti, stavolta vogliamo soffermarci su una in particolare, quella che al triplice fischio finale inquadra il povero Karius prono, solo, con il volto nascosto, davanti a quella porta che non ha saputo difendere, ed egli stesso piangente che chiede scusa alla sua tifoseria, la sua Kop, e questa di rimando applaude, perché si può sbagliare, fa parte dell’essere umano. A noi, invece, bulimici spettatori di questa materia oscura che è, come abbiamo detto, il calcio, non resta che alzarci in piedi, alla prodezza in rovesciata di Bale, come il maggiore Karl Von Steiner nel film “Fuga per la Vittoria” all’analoga prodezza di Pelè, accomunando nell’applauso questi invincibili Blancos, campioni per la tredicesima volta, la Spagna che ormai detiene questa Coppa da cinque anni, Madrid stessa, capitale d'Europa anche con l'Atletico Madrid del Cholo Simeone, che pochi giorni fa ha alzato al cielo l'Europa League.

 

 

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