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Mazzarri, l'esonero e la minestra riscaldata

È esplosa come un uragano, nella quiete apparente della sosta del campionato per la gara della nazionale contro la Croazia, la notizia dell’esonero di Walter Mazzarri dalla guida dell’Inter, ma non si può dire che non ci fossero già tuoni e fulmini che la annunciassero.

Come sempre in questi casi, e come sempre capita nelle cose che riguardano il calcio di casa nostra, a provocare l’evento è stata la mancanza di risultati, innanzitutto, ma anche il totale stato confusionario in cui giace la squadra. Non è mai semplice prendere la decisione dell’esonero, soprattutto quando ci si è legati ad un progetto, è più che una sensazione che Mazzarri paghi più questa confusione che i punti mancanti.

Egli paga il fatto di non essere mai riuscito ad individuare la fonte dei problemi, dovuti, a mio avviso, a quella sua continua ricerca di giustificazioni piuttosto che ad una reale e cosciente assunzione di responsabilità. Se fosse riuscito in quest’ultima operazione, probabilmente avrebbe assunto forza non solo di fronte alla squadra, ma nei confronti di tutto l’ambiente, acquisendo quei crediti che gli avrebbero permesso di continuare il suo lavoro. Altre volte ho avuto modo di stigmatizzare questo modo di fare del livornese, perché oltretutto lo ha reso inviso all’ambiente, dando l’impressione spesso di voler prendere in giro i tifosi con scuse che erano lontane dalla realtà del campo, libro sempre aperto e mai mendace che gli stessi sanno leggere, a differenza di quello che credeva il Nostro.

In sintesi, Mazzarri paga l’arroganza, atteggiamento inaccettabile, non giustificato nemmeno da un curriculum vincente, almeno non lì dove possono vantare la bacheca che hanno e sono transitati personaggi, quelli sì arroganti, ma vincenti, come il capostipite Helenio Herrera fino a Roberto Mancini e Josè Mourinho.

Tutto quanto sopra e il traumatico evento che ne è conseguito non deve, in ogni caso, far dimenticare le responsabilità della società: se Mazzarri ha perso il polso della situazione, è anche perché quanti gli stavano intorno non lo hanno aiutato. Inoltre, tecnicamente parlando, egli ha sempre dimostrato di non essere un tecnico dal gioco arrembante e propositivo, quanto piuttosto attendista e basato sul controllo, la riconquista e la ripartenza (il vecchio “difesa e contropiede” di una volta, nonostante le sue affermazioni contrarie), poco abile ed avvezzo a gestire rose ampie ed impegni molteplici (il “maledetto turnover”), né tantomeno capace di fidarsi e lanciare giovani.

Affidargli un gruppo più di prospetto che di governo, è stata un’altra tra le “colpe” di Eric Thohir e del suo entourage cui, secondo loro, hanno messo ora rimedio con l’ingaggio, molto oneroso, di Roberto Mancini. Inutile ricordare quanto fatto dal tecnico jesino con i nero azzurri, vincente anche se in piena Calciopoli (il sogno malcelato resta sempre il ritorno di Mourinho, però…), bisogna vedere se sarà capace di rinverdire quei successi. Di minestre riscaldate, e indigeste (Sacchi e Capello con il Milan, Trapattoni alla Juventus, Lippi in Nazionale), il calcio è pieno…

 

 

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