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Bandiera nera sul calcio

Uno degli scopi che dovrebbe avere la Storia è quello di insegnamento per le generazioni future a non commettere gli errori dei loro padri, comunque quella di fungere da memoria per non ripeterli.

I corsi e ricorsi di machiavelliche reminiscenze ci fanno, invece, capire che molti insegnamenti si perdono o sono ignorati, visto il reiterarsi di certe situazioni. Un altro fatto noto è quello della risonanza quasi planetaria che possono avere avvenimenti legati allo sport. Sappiamo come in passato esso sia stato usato come becero strumento di propaganda (fascismo, nazismo), come anche per fare da tragica cassa di risonanza, alle proprie richieste/pretese (Giochi Olimpici di Monaco 1972).

Ancor più tragicamente è stato anche il pretesto per lo scoppio di vere e proprie guerre, come quella tra Honduras e El Salvador (“La Guerra delle Cento Ore”) o quella che innescò la rivoluzione jugoslava, con scintilla provocata dagli incidenti nella gara tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado. Tutto quanto sopra non ci ha insegnato nulla, continua a non farci capire la sacralità di certi eventi, che pure gli antichi Greci avevano capito, fermando le ostilità durante le loro Olimpiadi, continuiamo a non capire che i luoghi dove si svolgono gli eventi sportivi, un campo di calcio, una palestra, un palazzetto dello sport, una piscina, sono luoghi che devono essere consacrati al solo, puro, agone sportivo.

La tenzone sportiva dovrà essere divisione in campo per la durata dell’evento, unione fuori ad assistere e ad inneggiare ai propri beniamini, non motivo di violenza, sopruso, prevaricazione sull’altro. Quanto accaduto sul finire del primo tempo della gara di qualificazione agli Europei tra Serbia e Albania lascia svariati sentimenti, ma soprattutto l’amarezza per la sconfitta, per avere avuto la sensazione di regresso e non di progresso. È noto quanto sia ancora viva e sentita tra queste due nazioni la questione riguardante il predominio del Kosovo, con l’una o l’altra etnia a rivendicarne l’appartenenza. Ma perché trasportare tutto all’interno di uno stadio, sapendo di innescare un meccanismo senza ritorno? Per la risonanza, come abbiamo detto. Ci lascia, poi, sconcertati la modalità: un drone che sorvola il campo con una bandiera che inneggia all’autonomia dei territori, la tecnologia che si adegua alle esigenze sbagliate.

Poi non meraviglia che sia ricomparso anche Ivan Bogdanov, “Ivan il Terribile”, protagonista della sospensione, a Genova, del match di qualificazione, quella volta per i Mondiali, contro gli Azzurri, perché certe “anime nere” sono difficili da estirpare. Eppure, visto che al peggio non c’è mai fine, i fatti di Belgrado non sono nemmeno i più brutti, poiché ci sono delle zone del mondo dove addirittura non si può giocare, dove i protagonisti hanno nomi sinistri: guerra (Afghanistan), terrorismo (Iraq e Siria con l’Isis), malattia (“Ebola” e i paesi africani). L’unico sconfitto di tutto quanto sopra, alla fine, resta il calcio e lo sport, inteso nel modo sbagliato della divisione e non dell’unione, e il primo, iniziale, sentimento che si prova è un senso profondo di smarrimento, di vuoto, ma subito anche un impulso forte a lottare, per far continuare ad essere lo sport, e il calcio, un momento di unione e di pace.

 

 

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