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Danno d'immagine

Viviamo tempi cupi, in questi giorni, immersi nelle brutture di una società decadente, che non riesce ad essere più portatrice di valori, che rende invivibile e impraticabile il più semplice dei gesti quotidiani.

Il tutto, purtroppo, non figlio della massa, perché sono pochi coloro che tengono in mano i fili del gioco e sono la causa principe dello sfacelo, ma dalla massa assecondato, perché incapace di trarre da se stessa la forza di reagire, dimentica di avere in mano le chiavi del proprio destino, ma senza la volontà di usarle. Questo stato di cose colpisce, naturalmente, tutte le attività del sociale, non ultima quella sportiva, del calcio in particolare, vero specchio di quanto detto sopra.

Essendo una parte importante della vita sociale italiana, il calcio ne riproduce in pieno le derive, con problemi che quasi ci siamo stancati di citare, ma che proprio per non sentirci asserviti, ancora ribadiamo: stadi obsoleti e invivibili, dirigenti incapaci e che curano solo interessi di bottega, protagonisti sempre sull’orlo dell’isteria, se non oltre. La dimostrazione che, pur conoscendo queste problematiche, non facciamo nulla per curarle nemmeno quando abbiamo l’antidoto in mano, è stata data quando ad agosto è stato eletto il presidente della Federcalcio: mettendo Carlo Tavecchio, con tutti i suoi limiti anche culturali sullo scranno più importante del calcio, abbiamo scelto di continuare la deriva.

Con la dietrologia che è, poi, tipica del Bel Paese quando dobbiamo affrontare i problemi, ecco che invece di fare ammenda alla notizia che il buon Tavecchio ha preso sei mesi di squalifica dalla Uefa dopo la famosa conferenza di “Optì Pobà”, stiamo lì a sminuirla e a contarne l’effetto minimo, quando invece, a mio avviso, rappresenta il gradino ultimo sul piano dell’immagine. Il danno è lì, che poi il presidente, in pratica, perda il minimo della propria operatività (anche per l’intraprendenza del vero presidente – ombra, Claudio Lotito), non deve creare soverchi sospiri di sollievo.

Esiste guasto maggiore? La cosa che fa rabbia è che poi quella famosa conferenza è stata veramente il frutto di uno scivolone linguistico di Tavecchio, non crediamo assolutamente che sia razzista, però la carica che occupa ha la sua massima funzione proprio nella sua rappresentatività in seno ai consessi calcistici europei e mondiali, perciò riteniamo il danno enorme e, tra l’altro, perpetuabile, visto i due anni in cui il Nostro dovrà restare in carica. Questo è il nostro attuale sistema calcio, si è scelto di non cambiare quando si poteva, è chiaro che il segnale logico che ne può venire resta quanto visto dopo l’incrocio al vertice di questa settimana tra Juventus e Roma. Non vogliamo proprio imparare ad accettare i verdetti del campo e gli errori, considerandoli solo tali, da qualsiasi parte provengano e chiunque colpiscano. Proprio su questo giornale, poche settimane fa, ho pubblicato articolo che inneggiava al silenzio attraverso uno dei grandi campioni che pure la nostra Patria e il nostro calcio hanno espresso, Gaetano Scirea (“Quando il silenzio è d’oro”), è a quei valori e a quei silenzi che dovremmo tutti ritornare per rinascere davvero, riportare il calcio alla sua dimensione reale, che è quella che si vive sul campo con la gente, triste o gioiosa, ma unita, che trepida per questo meraviglioso sport.

 

 

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