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I tanti perché di "Amleto" Prandelli

Road to glory

Ci sono delle leggi, nel gioco del calcio, che la storia ha provveduto a rendere incontrovertibili.

Una di queste vuole l'Italia sempre in difficoltà e difficilmente vincente nella seconda gara del torneo mondiale: senza andare troppo indietro nel tempo, è capitato nel 2002 (sconfitta con la Croazia), nel vincente 2006 (pareggio con gli Stati Uniti), nel 2010 (pareggio con la Nuova Zelanda), non ha fatto eccezione in Brasile perdendo con la Costa Rica. È una sconfitta per certi versi inopinata alla luce della buona vittoria contro l'Inghilterra, ma proprio questa ha, a mio avviso, creato aspettative superiori alle reali possibilità di quella che è la nostra nazionale attuale.

Le difficoltà sono parse evidenti e non imputabili alle condizioni climatiche, perché quello che è realmente mancata è la sicurezza del gioco e le certezze da esso derivate. Noi paghiamo la cronica, ormai, mancanza di sicurezze derivanti da un modulo di gioco certo e collaudato: non è possibile avvicinarsi ad una manifestazione di tale portata senza sapere quasi mai in che modo si andrà a giocare, e questa è una pecca ormai atavica della gestione di Cesare Prandelli.

Anche in questo match ho visto delle cose francamente incomprensibili a qualsiasi discorso logico: se, come dichiarato, contro l'Inghilterra avevamo disputato addirittura una gara "epica" (Cesare dixit), perché allora si è rinunciato al doppio play togliendo Verratti e inserendo l'inutile Thiago Motta? Perché ritornare sui propri passi nella ripresa, ma inserendo Antonio Cassano con evidenti problemi fisici in una situazione ambientale già difficile invece del più fresco Lorenzo Insigne, bruciandosi poi la possibilità di far entrare l'ottimo Ciro Immobile ad aumentare il peso offensivo nell'area di rigore? Certo, se Mario Balotelli realizzava una delle due occasioni del primo tempo forse staremmo a parlare d'altro, ma questi sono episodi che non possono mutare il desolante quadro generale. Per fortuna, non tutto è perduto, ma occorrerà un altro spirito ed un'altra sostanza nel "far west" che si annuncia essere il match con la tosta Uruguay del ritrovato Luis Suarez. Abbiamo dalla nostra che in queste gare senza appello riusciamo quasi sempre a tirare fuori il meglio di noi stessi, perché alla fine la precarietà continua ad essere il nostro credo. La strada verso la gloria, però, è ora molto, ma molto, in salita...

 

 

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